Lezione n.3: non cazzeggiare ai duty free dell’aeroporto
Ok, erano passati solo trenta minuti circa da quando avevo preso le valigie e già avevo comprato un pareo, una Sprite e quattro pietre, o meglio quattro minerali da collezione, una Tormaline dal colore nero per Ina, un quarzo rosa per Marzia, un’amazzonite verde per Paola e un’Ametista per Linda. Non sapevo bene se fossero vere o meno, però le trovavo molto carine e di un certo impatto scenico e per nulla banali rispetto a tutti gli oggetti tipici del luogo che avrei potuto prendere, dalla bandiera giamaicana alla t-shirt con la foglia di marijuana stampata sopra.
Adesso potevo dirigermi verso l’uscita dove avrebbe dovuto esserci il pullman dell’albergo vicino al parcheggio dell’aeroporto.
Non mi ricordavo per nulla né il nome del pullman né quello del posto dove era l’appuntamento, motivo per cui mi ero portata il foglio illustrativo che mi diede la ragazza dell’agenzia viaggi, dove c’erano scritte, in teoria, tutte le informazioni relative alla vacanza, dal pernottamento, al cibo, alle escursioni, alle passeggiate, alle ore di sole e a quante volte mi sarei dovuta recare in bagno.
“Più efficienti di così in quell’agenzia” pensai “Non li batte nessuno!”
Appena giunta fuori dall’aeroporto diedi un veloce sguardo all’orizzonte per scrutare la vista di un autobus che potesse essere il mio e finalmente notai un pullman in lontananza mentre mi perdevo nella meraviglia del posto.
«Eccolo!» esclamai ad alta voce con tono compiaciuto e così mi incamminai verso la sua direzione. Mi sentivo proprio appagata, d’altronde avevo anche fatto già i regali da riportare a casa e comprato pure un pareo!
Il bellissimo pulmino giallo canarino con striature bianche e rosse mi aspettava.
Ad un certo punto mentre lentamente mi avviavo verso l’unico pullman presente, notai che un signore in fondo mi faceva strani gesti con le mani. Non capivo bene, non riuscivo tra l’altro a focalizzare bene nemmeno il suo viso, visto che non avevo con me i miei occhiali da vista. Comunque decisi di affrettare il passo mentre spingevo il carrello.
Più mi avvicinavo e più vedevo la faccia dell’uomo sempre più incazzata, ma non ne capivo il motivo. Sempre più vicina, vedevo che tutti i passeggeri erano affacciati al finestrino e tutti, ma dico proprio tutti quelli che si trovavano in quel lato dell’autobus, mi fissavano.
“Oh mio Dio, vuoi vedere che stanno aspettando me?” Furono le uniche parole che riuscii a pensare mentre spingevo sempre più lentamente il carrello e cercando di razionalizzare quanto stava accadendo.
D’un tratto le gambe iniziarono a tremare. Non per la stanchezza nel trascinare il carrello, ma per il panico che stavo avvertendo incalzare dentro me al pensiero di aver bloccato un intero pullman di passeggeri perché io avevo deciso di comprare dei souvenir!Feci un gran respiro, mi spostai la ciocca di capelli e decisi di mantenere la calma. Avrei dato la colpa al ritardo delle valige e chiesto umilmente scusa, cosa sarebbe mai potuto succedere d’altronde?
«Lei è la Signora Silvia Zinchi» urlò impaziente il conducente venendomi incontro a passo spedito e afferrando le mie valigie.
«Dice a me?» chiesi con una finta meraviglia sul volto.
«Sì. Sì, proprio lei».
«Ehm, Signorina, preferirei» dissi abbozzando un sorriso per sdrammatizzare.
Invece, uno sguardo gelido misto a rancore mi penetrò in pieno volto. Come se in quel momento il conducente mi avesse dato un ceffone sulla guancia.
«Mi dia le valige!» replicò secco «È da più di mezz’ora che la stiamo aspettando» e così dicendo prese le valige e le lanciò dentro il portabagagli non curandosi minimamente che qualcosa al suo interno potesse rompersi.
«Stavate aspettando me?» chiesi innocentemente. Poi aggiunsi «Ho fatto più in fretta che potevo, mi scusi, ma le mie valigie erano in ritardo».
Ok lo ammetto, era una scusa banale! Avevo sicuramente torto per aver perso tempo, ma mi sembrava surreale dover giustificarmi con l’autista dell’albergo. Ero in vacanza e dovevo anche stressarmi per arrivare in tempo e non fare aspettare il pullman?