Lezione n.4: contrattare un pacchetto viaggio
Io la seguivo come un cagnolino.
Avevo indossato per la partenza il mio denim preferito della Diesel, praticamente quello così stretch e non elasticizzato da essere quasi una seconda pelle, che però non consente una grande falcata, ma solo un gluteo sodo e meraviglioso da osservare.
Avevo una camicetta avvitata ai fianchi, bianca e candida come la neve e avevo avuto la brillante idea di abbinare alla borsa, le decollettes di Philosophy, quelle in suéde modello a schiava con il tacco a cono in sughero. Praticamente, avevo due trampolini da lancio alti dodici centimetri ai piedi ed una valigia enorme.
Ina era sinuosa esattamente come io ero goffa e sudata. Riuscivo a malapena a starle dietro, ma per fortuna la nostra meta era arrivare solamente alla fermata dei taxi.
Ogni sua ciocca di capelli fluttuava dietro alle sue spalle esattamente come ognuna delle mie diventava intrisa di sudore e si appiccicava alla fronte scivolandomi sulla lente degli occhiali da sole che a loro volta, scivolavano sulla gobba del naso inumidito, cadendo sempre di più.
Nell’arco di 10 minuti il mio viso era diventato fluorescente e la fronte era così bagnata che la frangetta alla francesina che avevo fatto in quel periodo, sembrava incollata con la colla stick alla pelle della fronte.
Un completo disastro!
Arrivammo alla fermata del taxi dopo venti minuti circa. Lei, come una rosa di campo appena colta, io con la camicia completamente bagnata dal sudore e diventata trasparente sui seni per la felicità del tassista. Insomma, giustamente lei si sentiva più fiera e orgogliosa di me per il risparmio di energie fatto grazie ad un solo borsone.
Non potevo che darle ragione, sino al momento in cui però non le si macchiò il suo chemisier, o camicione come le piace chiamarlo, da Mc Donald’s. A quel punto, lei che solitamente è una persona serafica e molto contenuta, iniziò ad avere attimi di cedimento. Noi ragazze la guardavamo preoccupate mentre passava in maniera convulsa il classico tovagliolino duro e ruvido simile alla carta vetrata e tipico di ogni fastfood sulla macchia.
«Tutto bene Ina?» le chiesi.
«No! Si è macchiata la camicia di ketchup» rispose lei senza alzare lo sguardo e agitando velocemente la sua mano sulla macchia.
«Vabbè, dai tesoro, non ne fare un dramma, poi ti cambi a casa» le rispose Linda.
«No. Tu non capisci, guarda qui come si è allargata la macchia!».
«Metti un po’ di Sprite» le dissi io, «Secondo me ti schiarisce la macchia ed essendo gasata dovrebbe togliere via anche i residui di ketchup».
«E da quando la roba gassata toglie via i residui?» fece immediatamente Linda inarcando il sopracciglio e con tono volutamente ironico.
«Non lo so» risposi io «Una volta, una signora ad un ristorante fece così su una macchia di vino e mi disse che l’acqua gassata aiutava la deflagrazione della macchia».
«Deflagrazione? Ma che diavolo vai dicendo? Ma perché non la smetti con questi rimedi della nonna e inizi a usare le lavanderie o i normali smacchiatori?» e dicendo così scoppiò a ridere.
Io, pur di non passare per una pazza, giurai che funzionava davvero e che lo provai più di una volta anche io e con ottimi risultati, così dissi a Ina di provare, tanto non aveva nulla da perdere.
Ina bagnò così il tovagliolo di Sprite e iniziò nuovamente in maniera convulsiva a strofinarlo velocemente sulla macchia. Sinceramente e stranamente, la teoria stava funzionando, tanto che Linda stessa ne rimase sconvolta. La macchia di ketchup stava lentamente scomparendo ed io, alzando teatralmente gli occhi al cielo, esclamai orgogliosamente «Vedete che ho ragione?».
Tuttavia, la macchia era scomparsa, ma al suo posto ne apparve un’altra, quella di Sprite, che asciugandosi, infatti, divenne di colore rosa poiché aveva scolorito quella precedente ed era diventata anche gialla. Quindi il camicione di Ina adesso aveva una macchia rosa con un grande contorno giallo ocra, esattamente collocata all’altezza dell’inguine.Non era una cosa molto bella da guardare, soprattutto su una ragazza.