Lezione n.4: contrattare un pacchetto viaggio
Tutto sommato, a parte l’arrivo un po’ burrascoso, il risveglio in camera fu la cosa più rilassante e bella di quelle ultime settimane.
Dormii per quasi dodici ore ed erano circa l’una.
Avevo aperto gli occhi e mi ero magicamente ritrovata in quell’enorme letto matrimoniale versione King, uno di quelli a quattro piazze che per andare da una parte all’altra devi quasi camminare al suo interno. Era il mio alloggio giamaicano, un bungalow di venti metri quadrati circa, che si arrampicava su una parete di rocce scure a strapiombo sul mare.
Ho sempre odiato quelle vacanze mordi e fuggi, dove per una settimana lasci tutto in valigia perché non hai un posto dove riporre la roba o perché non hai semplicemente tempo.
Per me la concezione del relax è stata sempre molto semplice: non avere nulla da pensare e di cui preoccuparmi, ivi compreso non dover mettermi a stirare l’abito lungo perché sgualcito o stropicciato in valigia.
No! Amo mettere tutto negli armadi, suddividerli per colore e soprattutto avere due scelte per ogni sera e uno in alternativa per il pomeriggio.
Questo spiega effettivamente perché ho sempre più valigie rispetto alle mie amiche. Alcune volte loro mi prendono in giro, magari loro hanno un trolley mentre io ne ho due, ma è una loro scelta.
Per me la vacanza è relax in ogni senso, ossia non dover pensare a quale borsa stia meglio con le uniche paia di scarpe che ho portato, oppure vestirmi sempre allo stesso modo, perché come spesso sento dire, al mare è l’abbronzatura la miglior veste del corpo. Ora, a parte che io sono bianca cadaverica, quindi per ottenere un abbronzatura che mi vesta dovrei almeno passare due mesi il più vicina possibile all’equatore per ottenere il colore che hanno le mie amiche in una sola settimana di mare e, considerando poi la mia carnagione bianca appunto, in un mese non farei altro che diventare rossa aragosta e se tutto va bene, potrei somigliare alla copertina del gambero rosso, vestita a festa ovviamente!Quindi no, non posso permettermi di sottovalutare l’effetto stilistico visto la differenza dermatologica tra me, le mie amiche e il resto degli abitanti della terra.
Certo, se dovessi essere sincera sino in fondo con me stessa, alcune volte loro ne fanno una questione di praticità e, tutto sommato, non posso dare loro torto. Sono sempre l’ultima ad arrivare a destinazione perché devo trascinare più valigie che per fortuna hanno le rotelle, ma ogni volta che si presenta di fronte a me una salita o un paio di scale, non posso fare a meno che invocare il loro aiuto, facendo così partire la gara di insulti nei miei confronti. Un po’ come quelli che mi hanno dato ieri sera sul pullman, ma di sicuro con meno rancore. La cosa che mi ripetono sempre è «Perché io che mi sono portata solo un borsone devo anche portare la tua valigia?». Effettivamente hanno ragione, ma sanno benissimo che poi alla fine, finiranno per usare qualcosa che stanno trasportando su per le scale, che sia la pochette di Chanel o qualche paio dei miei sandali Saint Lauren.
È un po’ un mutuo soccorso, loro decidono di non perdere tempo ad organizzare la valigia per outfit ed essere così spensierate, mentre io invece passo una serata intera a piegare i vestiti e a calcolare ogni minimo abbinamento.Alla fine però gli presto sempre qualche mio outfit, come spesso accade con la amica Pasqua chiamata amorevolmente Ina per evitare l’uso del suo nome ecclesiastico.
Ina è soprannominata anche mono-outfit, dopo quella volta che andammo a Portofino. Ricordo che fu proprio lei che, al momento della partenza, di fronte al binario mi chiese «Ma non sarà troppo grande quella valigia per quattro giorni?».
Effettivamente la domanda sembrava più che giustificata! La sua valigia rispetto alla mia non era grande nemmeno un terzo, anzi, la sua era un semplice e modesto borsone a tracolla rosso rubino e questo le consentiva di muoversi sinuosamente all’interno della stazione ferroviaria, con una leggiadria e spensieratezza che a me, a differenza sua, non apparteneva. Mentre lei si divincolava tra la folla con passo felpato e infilandosi in ogni anfratto che si creava tra le persone, io la seguivo disperatamente trascinando il mio trolley con le rotelle e tenendo in equilibrio sull’altro lato della spalla la borsa stracolma con i manici in cocco, del tutto scomodi a questo tipo di andamento veloce. Per questo motivo, lei arrivò alla stazione dei taxi riposata, fresca e profumata. Quella volta indossava una chemisier a righe blu e bianche, che lei si ostinava a chiamare camicione nonostante più volte le avessi spiegato che si chiamava chemisier! In vita aveva legato un cinturino di pelle beige vintage, bottino di guerra dall’armadio di sua madre. Tutto l’outfit era completato così dal solo borsone che si era portata con sé.